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Maurutto

 

Maurutto

Intervista a Severino Maurutto:
una storia di immigrazione, tra militanza sindacale, politica ed impegno sociale


di Erika Dessi

Non più tardi di 70 anni fa, durante il periodo della grande migrazione, molti italiani furono costretti ad abbandonare le proprie terre di origine per chiedere ospitalità e lavoro in paesi limitrofi come la Francia, il Belgio e sopratutto la Svizzera.
All'interno del ciclo di interviste promosso dal Consolato d'Italia a Ginevra, si è deciso di mettere nero su bianco la storia di uno di quegli uomini, per non dimenticare le memorie di quel tempo.

Severino Maurutto nasce a San Michele al Tagliamento, nel Veneto, nel 1940.
Nipote di emigrati in Argentina, a soli nove anni vive anche lui l'esperienza dell'espatrio. Nel 1949, infatti, parte con la madre alla volta del Belgio per ricongiungersi al padre e al fratello, partiti in seguito all'accordo italo-belga del '46, tristemente denominato "Uomo-Carbone".
Maurutto trascorre in Belgio tutta la sua adolescenza, dividendosi tra la scuola, dove apprende la lingua francese, e la passione per il calcio che pratica attivamente nella squadra della sua città: il Charleroi.

Ben presto si avvicina al mondo del lavoro, svolgendo prima un apprendistato come fornaio-pasticcere e prestando successivamente la propria manodopera come minatore presso la Mina n.1 di Marchienne-au-Pont, a pochi km dalla tragica disgrazia di Marcinelle.
L'ambiente minerario, si sa, è spesso duro ed insidioso, ma Maurutto ricorda con piacere l'atmosfera di forte solidarietà che si respirava a 1300 metri sotto terra quando, lontano da tutto e da tutti, tra compagni di avventura (non solo italiani ma anche marocchini, russi e polacchi) si condividevano le stesse paure e le stesse speranze.
Quel clima di tolleranza si rifletteva anche nella vita di tutti i giorni al di fuori della cava, a dimostrazione del fatto che il Belgio era un paese in cui la xenofobia verso gli stranieri, ed in particolare gli italiani, non era così marcata come in altri posti. Ed è probabilmente per tale ragione che Maurutto rievoca volentieri quel periodo della sua vita da emigrato.

Sebbene il Belgio gli avesse regalato l'amore, coronato con il matrimonio, nel 1961, in seguito alla chiusura delle prime miniere e alla perdita del fratello maggiore, Maurutto è costretto a rientrare in Italia per adempiere al servizio militare. Divenuto nel frattempo padre di una bambina e ritenendo, pertanto, infondato tale obbligo, scappa diverse volte dal CAR della caserma Ciro Scianna di Palermo dove prestava servizio, e per questo viene recluso nella camera di punizione di rigore (CPR).

Adempiuti i propri obblighi civili, Maurutto cerca di crearsi una posizione nel proprio Paese, ma vista l'instabilità della situazione lavorativa italiana negli anni '60, decide di seguire le orme della madre, intraprendendo il mestiere di pescivendolo. Per circa un anno, ogni mattina si reca a Marano-Lagunare dove compra il pesce fresco direttamente dai pescatori e lo porta, con la sua vespa targata Belgio, fino alle zone di Pordenone.

L'insofferenza crescente verso il clima politico e sociale presente in Italia, basato solo sul potere dei soldi, lo spinge a credere ancora nella possibilità di rifarsi una vita all'estero.
Il 23 ottobre del 1963 arriva in Svizzera, su consiglio di un cugino e con l'illusione di trovare ad attenderlo non solo gli zii, emigrati anni prima, ma anche un lavoro e una casa.
La realtà che si prospetta ai suoi occhi è invece molto diversa.

Maurutto, che conosceva bene il tema dell'emigrazione in Belgio, viene subito colpito dal clima di xenofobia presente in Svizzera in quegli anni. L'avversione più forte era sicuramente nei confronti degli italiani, considerati un popolo talmente chiassoso e rissoso, da essere ritenuto addirittura pericoloso. Essendo mal visti dalla popolazione locale, i nostri connazionali, sopratutto se stagionali, erano ridotti a svolgere i lavori più duri e a vivere nelle baracche, costretti a leggere ogni giorno scritte discriminatorie, come quella citata dallo stesso Maurutto: "non si affittano case agli italiani",  oppure cartelli ingiusti come quelli appesi fuori dai bar e dai ristoranti della svizzera tedesca, che vietavano l'entrata ai cani e agli italiani.

Nonostante il clima ostile nei confronti dei forestieri e le difficoltà d'integrazione, Maurutto non si perde d'animo e si rimbocca le maniche per cercare un lavoro. Fortunatamente trovare un impiego, per chi come lui aveva il vantaggio di conoscere la lingua, non era poi così difficile, ed in poco tempo viene ingaggiato come fornaio; mestiere che lascia quasi subito, preferendo il lavoro di fabbrica alle fatiche notturne.

Un giorno camminando lungo la Rue de Lyon ed essendo circondato solo da fabbriche, sceglie quasi per caso quella che sarebbe diventata la sua futura professione. Viene assunto come manovale nella fabbrica metalmeccanica Les Ateliers des Charmilles dove, grazie alla frequentazione di una scuola specializzata e all'apprendimento da autodidatta, diventa un modellista di vetroresina nel reparto di costruzioni di turbine idrauliche.
In quella fabbrica lavoravano tanti italiani del nord, che oltre ad essere molto qualificati nel campo della meccanica, avevano già alle spalle esperienze in ambito politico e sindacale.
Grazie alla frequentazione dei suoi colleghi e connazionali Maurutto, che prima di allora non aveva mai fatto politica, inizia ad interessarsi alla militanza. Entra così in contatto con la Colonia Libera Italiana di Ginevra, col partito comunista clandestino e col sindacato svizzero, instaurando così i primi rapporti con gli altri emigrati italiani presenti nel Cantone. Successivamente si iscrive al Parti du Travail (PDT), che altro non era che il partito comunista svizzero sotto mentite spoglie, dacché vietato dalla Costituzione elvetica, all'epoca particolarmente ostile ad organizzazioni di sinistra.

Gli stranieri, oltretutto, non potevano creare movimenti politici all'interno delle varie associazioni italiane esistenti (tra le più importanti: Colonia libera italiana di Ginevra, il Circolo Italiano e La Seminatrice), in quanto tenute sotto controllo dalla Polizia degli Stranieri. Le riunioni del partito comunista avvenivano, perciò, in maniera clandestina con il rischio della revoca del permesso di soggiorno, com'era avvenuto a decine di attivisti comunisti, espulsi dalla Svizzera negli anni '60.

Integratosi molto bene nell'ambiente militante di Ginevra, sia interno che esterno alla fabbrica, e sempre attento ai diritti e doveri dei lavoratori, Maurutto si fa portavoce delle problematiche dei propri colleghi fino a quando nel 1968, grazie anche all'aiuto di alcuni esponenti del PDT, indice addirittura uno sciopero.
Si era resa necessaria, infatti, un'azione di forza per evitare il licenziamento di una decina di operai e per contrastare le discriminazioni nella concessione della "gratifica" di fine anno.

Questa protesta non rimase un fatto circoscritto al settore metallurgico, ma suscitò molto scalpore  agli occhi dell'intera società, in quanto andava contro i principi della cosiddetta Pace del Lavoro. Nel 1900 una legge del cantone di Ginevra stabilì esplicitamente, per la prima volta in Svizzera, l'obbligo della pace del lavoro fino alla scadenza di un contratto collettivo del lavoro, mentre sul piano federale una disposizione analoga entrò in vigore - dopo un tentativo fallito nel 1919-20 - solo nel 1941. Nel 1956 tale provvedimento passò nella legislazione ordinaria. Da allora le parti contrattuali devono "salvaguardare la pace del lavoro" astenendosi "da qualsiasi mezzo di lotta per ciò che riguarda gli oggetti disciplinati dal contratto collettivo"

Essendo stato il primo a mettere in discussione il mito della Pace del Lavoro, Maurutto viene subito ripreso dalla direzione della propria fabbrica, ma sopratutto additato dai giornali che lo raffigurano come una sorta di turbatore dell'ordine sociale.
Nonostante gli fosse stata attribuita un'etichetta negativa dall'opinione pubblica, la sua reputazione, dopo quell'episodio, uscì rafforzata non solo agli occhi dei propri colleghi sostenitori, ma anche di fronte a quegli operai svizzeri, che pur non essendo completamente d'accordo con il suo operato riconoscevano in lui il coraggio di aver lottato per una giusta causa.

A distanza di circa un mese da quell'episodio, ci furono le elezioni per il rinnovo della commissione interna alla fabbrica, alle quali Maurutto si candida, pur sapendo di avere, in quanto straniero, diritti limitati. Inaspettatamente viene eletto con più del 90% dei voti e indicato come Presidente, nonostante lo statuto non lo permettesse. Forte dell'appoggio ottenuto dai suoi colleghi riesce ad ottenere la modifica del regolamento interno ed a conseguire la nomina, con gli stessi diritti e doveri dei colleghi svizzeri.

In seguito allo sciopero del '68 e alla sua elezione all'interno della commissione interna Maurutto, che fino ad allora aveva operato principalmente nel sindacato, nella Colonia Libera di Ginevra, nel PDT e nel partito comunista italiano, inizia ad espandere i propri interessi e ad occuparsi non solo delle problematiche interne alla fabbrica ma anche di tutte le questioni svizzere ed internazionali. In effetti, essendo eletto segretario del partito comunista di Ginevra, Maurutto si impegna fortemente a rinforzare il partito, creando nuove sessioni in tutta la Svizzera romanda, e continuando a mantenere i rapporti con il resto della Svizzera e con la direzione del PCI a Roma. Trovando ingiusta l'illegalità imposta dalle autorità elvetiche Maurutto, grazie al suo ruolo di segretario, avvicina il partito alle riunioni dove si organizzavano azioni di lotta e di solidarietà, prendendo parte ad esempio all'attività di sostegno degli operai in lotta, fuori e dentro Ginevra, alle manifestazioni per il Vietnam, alla costituzione del Comitato Salvatore Agnelli, etc.

Negli anni successivi, Maurutto è protagonista di altri innumerevoli scioperi ma il più importante è sicuramente quello organizzato nel marzo del 1971, quando una grossa fetta della metallurgia svizzera si ferma per protestare contro le iniquità negli aumenti salariali. Gli operai di tre grosse fabbriche (tra cui quelli di Les Ateliers des Charmilles dove lui stesso lavorava), uniscono le forze per contrastare l'esistenza di una convenzione nazionale che prevedeva degli incrementi di stipendio iniqui e discrezionali, attraverso un meccanismo detto "ventilé".

Grazie agli scioperi degli anni '70, la sua fabbrica riesce addirittura ad ottenere l'eguaglianza di salario tra uomini e donne, ma ancora una volta Maurutto viene attaccato dai giornali e, a partire dal 1970, per circa 17 anni, viene addirittura controllato e spesso pedinato dalla Polizia degli Stranieri, in quanto ritenuto pericoloso per la sicurezza svizzera.

Malgrado ciò Maurutto continua la sua attività come militante, arrivando anche a scrivere un'analisi dettagliata degli scioperi realizzati fino a quel momento, destinata ai responsabili delle sessioni del PCI, dove metteva in evidenza le debolezze del sindacato ed il ruolo del partito comunista.
Diffondendo questo documento all'interno nei sindacati svizzeri, ha l'opportunità di fare una riflessione critica sul funzionamento degli stessi, che si concretizzerà qualche anno più tardi con la nascita del movimento sindacale chiamato Manifesto 77. Essendo ormai un punto di riferimento ed un esperto della Pace del Lavoro, partecipa spesso agli scioperi indetti da altre fabbriche, in veste di coordinatore.

In seguito a questi fatti, la Polizia Politica Federale arriva a prendere la decisione di espellerlo, con l'accusa di sovversione e svolgimento di attività illegali. La notizia viene seguita con interesse non solo dal settore della metallurgia ma anche dai giornalisti, dal corpo insegnante e da tutti i rappresentanti del PDT eletti al Gran Consiglio di Ginevra, che si oppongono apertamente al suo allontanamento. Il caso acquisisce così una valenza nazionale non solo in Svizzera ma anche in Italia e in tutta Europa, dove tra il '71 e '72 si levano voci contro la sua espulsione.
Temendo delle ripercussioni sull'ordine sociale, per evitare l'insorgere di una catena di scioperi in sostegno a Maurutto, il Consiglio Federale decide di rivedere il decreto di espulsione e gli concede  un permesso di tolleranza.
Maurutto interpreta questa concessione come una forma di tolleranza, non solo della sua presenza in Svizzera ma anche del partito comunista, e decide di uscire alla scoperto scegliendo una sede per il partito ed organizzando una conferenza stampa ufficiale.

Negli anni '80 rientra in Italia per accontentare il desiderio della sua seconda moglie, innamoratasi della nostra terra durante una vacanza. Ancora una volta Maurutto si trova a dover ricominciare da zero e, per riuscire a mantenere la famiglia, decide di aprire un bar.

Dopo il secondo divorzio, rimasto solo in Italia, Maurutto prende la decisione di tornare in Svizzera, dove si risposa e nel 1984 ha un figlio maschio. La situazione lavorativa a Ginevra non è più così favorevole e Maurutto incontra non poche difficoltà a trovare un lavoro. Per questo decide di impegnarsi nel sociale, proponendosi all'Associazione dei Vecchi, Invalidi, Vedovi e Orfani (AVIVO) con un vasto e dettagliato programma. Grazie alle sue iniziative (attività culturali e politiche, organizzazione di viaggi e redazione di un giornale) l'Associazione passa velocemente da 2.000 a 24.000 iscritti, regalando a Maurutto grandi successi e soddisfazioni.

Nel frattempo, in quanto iscritto al PDT e membro del Comitato Direttivo, gli viene proposto di diventare Segretario e nel 1989 lascia a malincuore l'AVIVO per dedicarsi completamente al partito. Nel giro di neanche un anno il rapporto con il PDT si incrina e Maurutto, pur continuando ad essere tesserato e a partecipare alle riunioni, si dimette dal suo incarico.

Su consiglio del cognato frequenta la scuola per tassisti e si rimette in gioco con una nuova professione. Sempre attento alle problematiche dei lavoratori e spinto dal suo animo militante, colma alcune lacune presenti nel settore e crea sia il sindacato che la federazione dei tassisti.

All'inizio degli anni '90, costituisce un comitato per la libertà d'espressione, a favore del sociologo e politico svizzero Jean Ziegler. Esistito per circa cinque anni, il comitato vantava la partecipazione di molte personalità di spicco della comunità ginevrina, esponenti sia della destra che della sinistra, ed era riuscito ad ottenere sostegno a livello nazionale ed europeo.
Successivamente gli viene proposto di diventare Presidente della Ligue Internationale pour les droits et la libération des peuples (LIDLIP): una delle più vecchie organizzazioni non governative dell'ONU di Ginevra (ormai sciolta), ottenendo così la facoltà di partecipare attivamente ad alcuni dibattiti organizzati dall'ONU.

Avvicinandosi all'età della pensione Maurutto mantiene un ruolo di prima linea sopratutto all'interno del sindacato da lui istituito, senza mai abbandonare il suo atteggiamento proattivo nei confronti del  contesto socio-politico.

A distanza di anni, ripensando alla propria storia Maurutto rivede una vita colma di impegni sociali e responsabilità, scandita da episodi di rivendicazione dei diritti fondamentali dell'uomo e del lavoratore, da momenti di gratificazione per i risultati raggiunti e da occasioni di crescita intellettuale. Con la consapevolezza di chi ha vissuto il buono e il cattivo tempo di un momento storico difficile, di chi ha messo il proprio coraggio al servizio di tutti e di chi ha avuto la forza di rimettersi in gioco ogni volta con grinta e determinazione, ora si guarda indietro felice di aver contribuito a fare la Storia.


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